GIUDICHIAMO CONTINUAMENTE
MA QUANTO I NOSTRI GIUDIZI SONO ESATTI? Alcune motivazioni mentali del nostro giudicare

Questa volta mi è spontaneo scrivere non di
politica ma di strutture cognitive. Deformazione professionale.
Nella
mia attività di medico psicoterapeuta cognitivista, ho collaudato alcuni esempi
affinchè i meccanismi della nostra mente possano essere più facilmente
comprensibili da tutti i Pazienti, di ogni grado di istruzione e di ogni
"forma mentis".
Le
strutture cognitive sono la "griglia" funzionale della nostra mente,
intendendo per "mente" l'insieme composito di psiche e strutture
neurali, proprie di ciascuno. La mente, a sua volta, definisce quella che
volgarmente è chiamata "mentalità", cioè il modo del tutto personale
di vedere il mondo.
Infatti, le strutture cognitive, questa
"griglia" che risente, per la parte organica, del DNA di ciascuno e,
per la parte psichica, del "vissuto", cioè di come ci si è
"impattati" con la propria storia, sono, come dico ai miei Pazienti
in un esempio ricorrente, i nostri "occhiali" per guardare la realtà.
Ciò
comporta che se una persona indossa "occhiali" con lenti
"gialle" vede il mondo "giallo", cioè filtra la realtà
sulla base delle peculiarità tipiche delle proprie strutture cognitive, ed è
fermamente convinta che quello che vede sia la verità; se indossa lenti rosa
vede il mondo rosa ed è radicalmente convinta che il mondo sia proprio così!
Ovviamente, mi riferisco alla visione naturale e spontanea delle cose, cioè a
come noi le vediamo in assoluta "buona fede". Ancora più ingannevole
e contorta, invece, è la visione del mondo e degli altri che noi vogliamo dare
quando, oltre alla propria vista falsata dalle proprie strutture cognitive,
aggiungiamo anche l'intenzione maligna di alterare volutamente la realtà.
Accade. Grettezza, invidia, ignoranza, cattiveria, e qualsiasi altro misero
sentimento possono esserne la causa.
Qui ci
limiteremo a considerare i limiti "fisiologici" della mentalità di
ciascuno. Tali limiti sono reali sia in presenza di un quoziente intellettivo
basso (che se aggiunto alle caratteristiche negative già citate peggiora molto
la qualità della propria visione del mondo e degli altri) sia in presenza di un
quoziente intellettivo alto. Tutto è relativo.
Infatti, è impossibile che una mentalità
ristretta, cioè corta di raggio, possa "comprendere" (anche nel senso
di "avere la capacità, la capienza sufficiente per includere") una
mentalità aperta, cioè a lungo raggio. Per esempio, immaginiamo che la Luna e
la Terra siano un poco più vicine; un osservatore dalla Terra potrebbe vedere
la Luna nella sua interezza, mentre l'osservatore dalla Luna vedrebbe soltanto
una piccola porzione della Terra, uno scorcio, un dettaglio a caso,
interpretabile soggettivamente anche in senso fuorviante rispetto alla realtà
vera. Similmente, una persona che abbia una mente a più ampio raggio risulta
essere più "comprensiva" e può avere una visione completa dell'altro,
del suo insieme, mentre chi ha una visuale più ristretta vede solo ciò che gli
sta proprio davanti al naso, come i cavalli con i paraocchi, senza poter
"comprendere" la realtà di chi gli sta di fronte.
Torniamo all'esempio delle lenti colorate.
Ciascuno di noi è convinto di vedere la realtà vera delle cose, che, invece, in
verità, non sono del colore in cui noi le vediamo! (...questo per parlare
ancora di visione in "buona fede"...). Quindi, il colore delle cose,
cioè del mondo e delle persone, spesso non è come noi lo vediamo, semplicemente
perchè le nostre strutture mentali così come si sono formate, cioè come il
proprio corredo genetico si è integrato con la nostra buona o pessima
educazione, con la nostra buona o pessima cultura, con le nostre buone o
pessime scelte di vita, condizionando in forma determinante il nostro giudizio
sul mondo e sugli altri.
Perciò,
attenzione, il giudizio che formuliamo sugli altri è una cartina al tornasole:
rivela la realtà propria di ciascuno, svela chi siamo, quali sono i parametri
che abbiamo nella mente, i sentimenti che animano il nostro essere, i criteri
che muovono le nostre azioni, persino ciò che non accettiamo di vedere di noi
stessi per cui lo proiettiamo, giudicandolo, sugli altri, così da vederli come
loro non sono bensì come siamo noi. Oppure invidiamo degli altri ciò che noi
non siamo riusciti ad essere. Il giudizio che noi formuliamo sugli altri, in
definitiva, ci smaschera, mostra come realmente siamo al di là della nostra
facciata, al di là di come voremmo apparire.
Infatti, se non possiedo un concetto nel corredo
cognitivo della mia mente, perchè non ne ho mai conosciuto l'esistenza, non
potrò neanche ri-conoscerlo in un'altra persona, perchè non "mi"
ri-conosco nell'altro. In altri termini, l'altro è radicalmente ed
esistenzialmente differente da me così tanto che non riesco a riconoscerlo per
quello che è.
Capita
anche, ma questo è un'altro capitolo della nostra ipocrisia spesso
misconosciuta a noi stessi, che, quando distogliamo lo sguardo dalla sofferenza
(di un bambino, di un malato, di un mendicante, degli immigrati naufraghi) non
sia perchè "sono troppo sensibile, queste cose mi fanno stare troppo
male" ma perchè, in verità, non vogliamo essere disturbati da quella
sofferenza.
Similmente, se qualcuno non crede alla bontà
di una persona, o al suo senso del dovere, o al suo idealismo, o alla sua fede,
o alla sua castità, o ad un qualsiasi altro modo di essere, è perchè il
concetto, il criterio-guida del
comportamento dell'altra persona non appartiene al proprio bagaglio mentale,
cioè cognitivo ed emozionale, per cui tale comportamento risulta non
"comprensibile", cioè non può essere "com-preso". Oppure,
semplicemente, il modo corretto di vivere, le coraggiose e difficili scelte, i
sani sentimenti di una determinata persona fanno da "specchio", cioè,
per opposizione, involontariamente evidenziano sottolineano e denunciano ciò
che in realtà noi siamo.
In
alcune persone ciò è fonte di ravvedimento, in altre scatena invidia e rabbia
per non aver saputo operare allo stesso modo, malvagità per voler distruggere
ciò da cui ci sentiamo giudicati e condannati.
Coraggio, c'è ancora tempo. Dio è paziente,
attende che rientriamo in noi stessi, che ci riconciliamo con la storia della
nostra vita e, soprattutto, procedimento più lento e complesso, che perdoniamo
noi stessi. Per non giudicare.
Lucrezia Cutrufo
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